Una vita in clausura. La scelta di Suor Maria Rita badessa del Monastero di Santa Chiara di Atri

Atri, 21 Novembre 2024

“Le sepolte vive”. Ad Atri le chiamavano così. Nell’immaginario collettivo, le suore di clausura erano associate a questa immagine: donne che, una volta entrate in monastero, non ne sarebbero più uscite fino alla morte. Una percezione che resiste nel tempo, ma che può essere facilmente confutata se si ha la possibilità di vedere da vicino cosa vuol dire vivere in un convento. 

Ad aprirci le porte di questi spazi, solitamente inaccessibili, è Suor Maria Rita, badessa del Monastero di Santa Chiara di Atri. Ci riceve nel parlatoio, togliendo da subito la grata divisoria e creando così una vicinanza tra due mondi apparentemente distanti. È sorridente, accogliente. Con serenità ci racconta la sua scelta. 

«Quando ho preso questa decisione, per i miei genitori è stato un cruccio, una tragedia. “Ma cosa ti manca? Ma perché ti fai suora?” mi chiedevano, preoccupati. Ma io ero convinta, sapevo che era giusto per me». 

Rita Mongia, questo il suo nome e cognome da laica, ha oggi sessant’anni, è nata a Pineto da una famiglia originaria di Atri. Ne aveva poco più di venti quando ha abbracciato la vita monastica. «Vengo da una famiglia non eccessivamente praticante. I miei primi anni sono cresciuta con i nonni qui in Abruzzo, perché i miei genitori erano emigrati in Svizzera. Mia nonna era molto credente e mi ha avvicinata alla fede. Mi parlava sempre dell’importanza di essere uniti con il Signore e di fare la sua volontà, perché solo nella volontà di Dio abbiamo la gioia, la pace». 

Dopo aver trascorso alcuni anni in Svizzera, Rita torna in Abruzzo con la sua famiglia: i suoi genitori e sua sorella molto più piccola di lei, che all’epoca aveva soltanto un anno e mezzo. «Avevo 15 anni quando siamo tornati in Italia. Ho frequentato il corso per segretaria di azienda e ho iniziato a lavorare in questo settore. Vivevamo a Montesilvano in quegli anni».

Con i primi amori, Rita inizia a porsi delle domande che mettono in discussione la sua vita.   «Stavo frequentando un ragazzo, avevo circa 20 anni, età in cui all’epoca ci si sposava, e cominciavo a chiedermi cosa realmente volessi fare. La mia scelta di una vita di fede è partita dal ricordo della frase di mia nonna: stare nella volontà di Dio per essere felici. Pregavo, affidandomi inizialmente a Santa Rita, di cui porto il nome. La mattina, mentre mi dirigevo al lavoro, mi fermavo nelle chiese che incontravo per un momento di preghiera». 

Un giorno, Rita fa un incontro che cambierà la sua vita: «Sono stata avvicinata da alcune ragazze che mi hanno invitata a frequentare il gruppo giovani in parrocchia, la sera. Venivano anche a prendermi. Lì è cresciuta in me questa gioia di vivere la fede. Ho letto il Vangelo per conto mio, i libri spirituali, avevo questa sete. Ho partecipato a un pellegrinaggio ad Assisi, guidato da una giovane suora, con la quale mi sono sentita subito in sintonia». Con quella suora, Rita inizia un rapporto epistolare: le racconta di sé, dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. 

«Era un periodo nel quale pregavo molto, iniziai a chiedere al Signore di aiutarmi a capire se la relazione con il ragazzo che frequentavo fosse la mia strada. Dopo un po’, lui è sparito, non ha più chiamato e io mi sono tranquillizzata. Anche queste cose raccontavo alla mia amica suora la quale, a un certo punto, mi chiese se avessi mai pensato a una forma di consacrazione, oltre alla possibilità di sposarmi. Ho interrotto la corrispondenza con lei, ma la pulce mi era entrata nell’orecchio e ho iniziato a pregare e a chiedere al Signore quale fosse la sua volontà. E ho capito. Con il consiglio del viceparroco e di altri sacerdoti, piano piano mi sono resa conto che interpretavo la vita in modo diverso, rileggevo tanti avvenimenti come dei segni che il Signore mi aveva mandato». 

Di qui la sua scelta: abbracciare la vita monacale. «Il mio primo pensiero è stata la clausura. Venni proprio qui ad Atri, essendo della zona; qui c’era anche una suora che era mia parente. Non me la sono sentita, però, in quel momento di fare un passo così importante. Nella mia parrocchia venivano delle suore di vita attiva di Pescara: mi ha contagiata la loro gioia, il portare il Vangelo a tutte le persone che incontravano, così ho scelto di entrare nel loro gruppo: l’Istituto Suore della Santa Famiglia di Penne. Nella loro sede pescarese sono arrivata a quasi 22 anni e ci sono rimasta sette anni». 

Rita ha poi seguito tutte le tappe della formazione. Dopo un anno e mezzo di noviziato e la professione di fede ha capito che questa volontà era salda ed è iniziata la sua vita in clausura, scegliendo Atri per vicinanza territoriale. 

«Allora le regole erano ancora più rigide, non aprivano nemmeno le grate, per questo c’era un po’ più di timore ad abbracciare questa vita. I miei genitori erano tristi, a mia madre le sorelle diedero eccezionalmente la possibilità di visitare tutto il monastero, ma lei ha sempre detto di non aver visto nulla, tante erano le lacrime che versò quel giorno. Poi, quando hanno visto le sorelle, affettuose e affabili, e soprattutto che io ero contenta di stare qui, in quei primi mesi, hanno capito che questo mi rendeva felice e lo sono stati anche loro».

Una scelta di cui non si è mai pentita. Lo si percepisce anche dalla luce che ha negli occhi quando ci parla di com’è oggi la sua vita in monastero. 

La struttura che le accoglie è molto grande, ma le suore che la abitano sono soltanto cinque: Suor Maria Teresa, che ha 92 anni; Suor Maria Carmela, 85 anni; Suor Maria Carmelina, 80 anni; Suor Maria Angela di 61 anni, attualmente fuori dal monastero perché sta assistendo sua madre a Pescara.  «Lei è figlia unica. In queste situazioni è previsto un permesso speciale». Nonostante il calo delle vocazioni, questo monastero ha ospitato di recente una giovane suora, Suor Chiara Karol – la prima che non ha aggiunto il nome Maria a quello di battesimo, preferendo un richiamo a Papa Giovanni Paolo II -, purtroppo scomparsa due anni fa per una malattia a soli 42 anni».

La convivenza tra le sorelle non è sempre semplice, Suor Maria Rita ci racconta che a volte ci sono dei dissapori su come eseguire i canti o le preghiere, ma la loro è una famiglia e il modo per ritrovare la serenità si trova sempre. Le loro giornate, oltre ai momenti dedicati alla preghiera, sono caratterizzate da tante attività, come la produzione delle ostie da destinare alla diocesi. 

Suor Maria Rita è una autentica innovatrice e ha portato aria nuova in convento. Usa la macchina per tutti gli spostamenti necessari, come le cure mediche, e a volte anche per fare la spesa, quando la signora di Atri che aiuta il monastero nelle pulizie e nelle commissioni è impossibilitata a farlo. Nonostante la clausura faccia pensare a uno stare chiusi e a non tessere relazioni, Suor Maria Rita ci racconta che sono tante le persone che si rivolgono a loro per un consiglio, per una preghiera condivisa. Ci tengono a essere informate su ciò che accade nel mondo, in convento non mancano Internet e i pc. Dispongono anche del televisore e hanno degli abbonamenti a dei quotidiani. Hanno a cuore la vita di comunità, tanto che per i tutti i benefattori a Pasqua e a Natale preparano dolcetti. Curano il giardino e l’orto, spesso aiutate da un esterno. 

«La clausura a livello normativo, da quando sono entrata in convento 31 anni fa, non è cambiata molto, ma le sorelle non facevano certi passi. La grata si apriva soltanto per i familiari o per gruppi di giovani. In alcuni monasteri oggi è proprio scomparsa. Sicuramente non era possibile uscire per fare la spesa». In questo senso, dunque, qualcosa è cambiato. Difatti, inaspettatamente, Suor Maria Rita ci consente di visitare alcuni spazi del monastero.

Spalanca il pesante portone in legno e davanti ai nostri occhi si apre il quadrilatero che caratterizza la struttura con al centro un meraviglioso chiostro con un pozzo. Poco più avanti, l’orto e il giardino. Fanno capolino alcuni gatti, uno dei quali cieco: fanno parte anche loro della famiglia. E, come accade in ogni famiglia, ci sono incombenze e preoccupazioni: «Generalmente si pensa che il nostro stile di vita ci tenga al riparo dall’ansia, ma non è così. Anche noi abbiamo tante cose a cui pensare, da gestire. Da quando sono badessa, ancora di più. Ci sono gli infissi da cambiare, medicine da far arrivare, i pensieri per le nostre famiglie…». 

Uscendo, incontriamo una delle consorelle più anziane, che ci saluta con un sorriso accogliente. Le lasciamo alle loro attività, a partire dai gattini che attendevano di essere sfamati. A poca distanza, troviamo aperta la chiesa di Santa Chiara, che risale al XVI secolo, proprio come il monastero. Seppur dietro l’altare principale, protette dalla grata, è lì che le suore prendono parte alle funzioni. Osserviamo in silenzio questo spazio, un luogo rassicurante e vissuto, abitato da donne consapevoli del loro ruolo e serene nella loro scelta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *